(no, non intendo quella di Inside Out)
Credo che in fondo, da qualche parte, possiamo tornare ai momenti in cui abbiamo sperimentato gioia — forse ieri, forse 15 anni fa, forse pensiamo che non ci saranno più momenti gioiosi, guardandoli con un’amara nostalgia, con quel retrogusto che hanno le cose perse. Oppure, pensiamo che tutta la gioia sia nel futuro e, ancora, non ci è dato sperimentarla e forse non l’abbiamo mai sperimentata prima.
Dopo moltissimi anni, nell’ultimo periodo mi è capitato di ripensare a una canzone e la cosa mi ha molto sorpreso: sapevo ancora tutte le parole, e il cantarla mi ha riportato dritta, come una sorta di teletrasporto al contrario, a una parte della mia vita che ho chiuso in modo forse frettoloso, come tante delle cose che caratterizzano il mio stare al mondo: l’ansia, la fretta, il tempo che sembra passare troppo rapidamente o lentamente.
Ascolta, il rumore delle onde del mare ed il canto notturno di mille pensieri dell' umanità che riposa dopo il traffico di questo giorno che di sera si incanta davanti al tramonto che il sole le dà.
Di solito, La Gioia era l’ultima canzone prima dello spegnimento del falò, per poi voltarsi e, nel buio pesto, il fascio di luce bianca delle torce elettriche illuminava la strada verso la tenda. Una delle ultime uscite (ndr: i weekend fuori porta in montagna con gli scout) che ho fatto nella mia vita, sono stata a parlare ben oltre quella canzone, finché anche le ultime braci del fuoco non erano completamente spente. Faceva freddo, ero a chiacchierare, non riuscivamo proprio a smettere di parlare. Ho pensato che avevo tutto, allora. Che avevo la gioia. Quando sentivo e cantavo queste parole, sapevo di essere profondamente connessa e presente. Pensavo che la mia felicità nascosta era tutta lì, davanti al fuoco, caldissimo, e alle mie spalle la notte. Sopra di me, le stelle. Questa canzone era una sorta di parentesi tra la fine della serata e l’inizio del riposo, un rito che, la maggior parte delle volte, concludeva la giornata: tornavo in tenda, al sicuro, e mi preparavo per la giornata di cammino che mi avrebbe aspettata il giorno successivo.
e domani ritorna, tra la gente che soffre e che spera / tu saprai che ancora nascosta può esister la felicità.
Ho sempre cantato questo verso dicendo “che soffre e dispera” e ci credevo davvero, che non c’era speranza. Che là fuori, il giorno dopo sul treno e poi a casa, la gente davvero soffre. Che sono sempre stata dolorosamente consapevole della tragicità della condizione umana, e molto poco consapevole invece del potenziale positivo e di cambiamento che, invece, i miei studi mi hanno in qualche modo ricordato.
L’aprirsi della possibilità di cambiamento, di ricominciare, di sopravvivere alla fine delle cose, penso abbia a che fare anche con la possibilità di avere compassione verso se stessə e l’altrə. Aprire una feritoia nel buio del dolore, dell’abitudine, dell’inerzia, della stanchezza, della fatica e della disperazione, per pensare a possibilità mai pensate prima: sembra utopia. In questo senso, poter provare gioia in un mondo in cui tutto il nostro sentire sembra come ovattato, confuso, fumoso da un lato e vischioso e appiccicoso dall’altro, potrebbe essere qualcosa che, semplicemente, ci ricorda di essere vivə. Di sentire, di sentirci, di sentire l’alterità.
Coltivare spazi di gioia, come un piccolo giardino, per innaffiare con fiducia non solo l’avvenire, ma questo stesso tempo che stiamo vivendo. Quante volte pensiamo che no, non stiamo vivendo: casa-lavoro-casa, colazione-pranzo-cena. Per qualcunə sono gabbie da cui fuggire, una limitazione, per altri una routine familiare ed indispensabile, un punto fermo, per altre persone ancora vi sono molteplici sfumature da abitare.
L’unico momento in cui possiamo stare e in cui possiamo vivere è adesso.
Vi lascio qui un estratto dal Diario di Etty Hillesum.
Venerdì 21 marzo, le otto e mezzo di mattina
Una volta io m'immaginavo un futuro caotico perchè mi rifiutavo di vivere l'istante più prossimo. Ero come un bambino molto viziato, volevo che tutto mi fosse regalato. A volte avevo la certezza - peraltro molto vaga - che in futuro sarei potuta diventare "qualcuno" e avrei realizzato qualcosa di "straordinario", altre volte mi ripigliava quella paura confusa che "sarei andata in malora lo stesso". [...] E ora, ora che ogni minuto è pieno, pieno sino all'orlo di vita e di esperienza, di lotta e vittorie e cadute, ma subito dopo di nuovo lotta e talvolta pace, - ora non penso più a quel futuro, in altre parole mi è indifferente se riuscirò a produrre qualcosa di straordinario oppure no, perchè sono certa che ne verrà fuori qualcosa. Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria, avevo la sensazione che ogni cosa che facevo non fosse quella "vera", ma una preparazione a qualcosa di diverso, di grande, di vero, appunto. Ora questo sentimento è cessato.
Una cara amica tempo fa mi ha riportato le parole di una persona per lei importante. Hanno a che fare con il passato, con il presente e il futuro, che possono essere visti e vissuti in due modi diversi.
Il passato vissuto in modo negativo è fatto di rimorsi, mentre è fatto di nostalgia se vissuto in modo positivo; allo stesso modo, l’ansia costituisce un vissuto del futuro negativo, e l’aspettativa positivo. Eppure sembra non bastare mai, c’è sempre qualcos’altro a cui tendere, a cui pensare. Il presente, invece, è l’unico dove possiamo stare dove siamo, dove possiamo stare bene.
Quello che possiamo fare, nonostante tutto, è coltivare la gioia nella presenza. Non nel futuro, non nel passato. Nel vento nei capelli, nei piedi che si immergono nella sabbia, nell’erba verde del primo pomeriggio, nel cielo azzurro con qualche nuvola solitaria, nella luce che filtra tra le foglie degli alberi. È il miracolo dell’essere vivi, nonostante tutto. Nonostante le bollette, il lavoro precario, il lutto, la fine delle cose, essere saldə nel disastro. Credo che questo, per qualcunə, sia quanto di più difficile e complesso si possa aspirare a fare, eppure necessario.
anche immersa nel frastuono tu falla sentire hai bisogno di gioia come me.
Ho visto la mostra di Munch e nella sezione conclusiva della mostra c’era questo quadro. Si intitola Ragazze sul ponte ed è stato realizzato nel 1902, durante "la prima estate tranquilla che ho avuto dopo molti anni, l'unica estate felice che ho avuto nella mia piccola casa", a detta dell’artista. Ritrae alcune fanciulle in una notte d'estate ad Asgärdstrand, che partecipano all'armonia di quello che sembra essere un momento senza tempo.
Cose che…
Sto leggendo Intermezzo, di Sally Rooney (ovviamente!). Grazie di esistere.
Ho letto: Ricompense, di Jem Calder. Copertina stupenda, storia un po’ piatta ma ho molto apprezzato l’attenzione che ha riservato l’autore per la presenza del digitale, degli schermi, dei social network nelle nostre vite. maledetti cosi luminosi.
PS. se siete su Goodreads, aggiungiamoci!
Ho visto Look Back, diretto da Kiyotaka Oshiyama. Un inno al disegno, in tutte le sue sfaccettature: splendido. Che voglia di mettermi al tavolo e disegnare circondata dalle mie matite!
Ho cantato al concerto per il decennale di Costellazioni di Vasco Brondi: ne è valsa assolutamente la pena.
💌 sezione newsletter e news 💌
Questi mesi ho scoperto alcune newsletter che, secondo me, dovreste leggere.
No, non sono tips social, non sono di psicologia, e no non sono nemmeno quel tipo di newsletter che parlano di cose super specifiche e “targhettizzabili”. Sono aggiornamenti di persone (belle) che vivono la loro vita. Tipo i film slice of life, e a me questa cosa piace moltissimo.
Eccole qui! Vi consiglio di leggerle con una tisana calda, vicino alla luce soffusa dell’abat-jour: troverete riflessioni e consigli di lettura, scrittura, cinematografia, insomma di vita vissuta.
Grazie per aver letto fin qui! Ci vediamo prossimamente.
Ultimissima cosa, questi sono i titoli di coda di Omoide Poro Poro, un film dello studio Ghibli che ho visto insieme a hipsterisminerd a luglio, per una rassegna al cinema dedicata al regista Isao Takahata. Il film lo consiglio molto, tuttavia c’erano alcune parole della canzone di sottofondo (ammetto, un po’ strappalacrime) con cui mi piacerebbe concludere questo numero.
Nel timore di avvilirsi il tuo animo non danza. Nel timore di svegliarsi i tuoi sogni perdono le occasioni. Nel rifiuto di venire rubato il tuo animo non si dona. Temendo di morire non si riesce a vivere.
Buona festa della luce!
Ma che sorpresa ritrovarsi qui, grazie infinite! 🥹 bellissimo questo “numero” sulla gioia, è proprio così che mi sento quando riesco a vivere nel momento presente. Grazie per avermi dato un inaspettato momento di gioia quotidiana 🫶🏻
Ciao Chiara!
Nel caos della quotidianità, la tua notifica di menzione è stata una pausa dal rumore di sottofondo e, come ha detto anche Teresa, un momento inaspettato di gioia 🫶
Parlavi delle newsletter citate come "aggiornamenti di persone che vivono la loro vita", e mi ci ritrovo molto. Forse anche io scrivo di vita perché, in primis, vivo come un dono la possibilità di entrare in quella degli altri. Quindi grazie per averci portati con te attorno a quel falò e nel flusso dei tuoi pensieri 🌱
PS. Speranza e Teresa sono due care amiche
la sorpresa e la gioia di vederci insieme anche nel tuo scritto è stata doppia 🫂